Il moralista impasta buon senso e luoghi comuni, valori in disuso e ramanzine da vecchio babbione. E' un qualunquista incazzoso che tenta di uscire dalla sagra del "politicamente corretto". (since 6/6/2005)
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25 agosto 2009
non è più la nostra partita
"... è una lezione incredibile ed emozionante sulla capacità di scommettere su un nuovo inizio, come quella che ricevo, una settimana dopo, dall'incontro con un anziano signore bianco e benestante di 84 anni. Mi è seduto accanto su un aereo che vola tra il New Hampshire e New York: 'Sono repubblicano, ho votato tutta la vita per loro, il mio campione sarà sempre Ronald Reagan, ma questa volta voterò per quel ragazzo nero (Obama, ovviamente, ndr). John McCain mi somiglia, certo, ma non è più la nostra partita, non voto per me ma per i miei nipoti e l'unico che ci può far rialzare la testa, che può rimettere ordine in questo Paese, è il ragazzo democratico. Affido a lui il futuro dei miei nipoti".
Do per certa l'affidabilità del cronista: Mario Calabresi, direttore de La Stampa e autore del libro di cui ho già parlato e da cui traggo questa frase di chiusura.
Mi ha fatto riflettere molto quest'estate: sull'Italia, sugli italiani e sul nostro modo di concepire la politica e la cittadinanza, su come concepire il futuro, sui giovani e sui vecchi, sul bene comune e sul diritto individuale.
"Non è più la nostra partita"...
(foto flickr/Punk Jazz)
24 luglio 2009
la fortuna non esiste

Sono arrabbiato.
Sto leggendo un libro che mi piace, che racconta storie edificanti, incoraggianti... e la sensazione con cui resto, per ora, dopo quella di chi fa "una bella scoperta", è quella della delusione, dello scoramento.
Certo non è colpa del libro.
Parlo di La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi di Mario Calabresi, direttore de La Stampa, già inviato negli Stati Uniti.
Sono 10 storie fresche fresche, made in Usa, su come alcuni uomini e donne hanno affrontato (e superato) nella loro vita "la" crisi, inclusa quella economica e finanziaria scoppiata nel 2008.
Sono certo che è un libro che si presta a critiche davvero bi o tripartisan, oppure che può cadere nell'indifferenza per apparente "eccesso di utopia". Anzi, di sogno, di progetto.
Perché noi in Italia, soprattutto a guardare i nostri leader, culturali (Tv) e politici (sempre Tv), siamo quelli del: "Guarda è una bellissima idea... sarebbe bellissimo... ma... solo nel Paese dei balocchi. Ingenuo".
Calabresi racconta, di fatto, l'America recentissima che ha scelto Obama, quello che "il cambiamento"... E già questo farà venire l'orticaria a qualcuno, fissato con la real politick, o solo con 20 metri di coda di paglia. Anche perché quella raccontata da Calabresi, è anche l'America di Cao, vietnamita e neo deputato al Congresso per i repubblicani.
Tutti nel libro testimoniano il valore del cambiamento. Tutti credono nell'importanza di una cittadinanza, non solo politica, che abbia come prima regola quella di "restituire alla comunità quanto si è da essa ricevuto". Tutti vedono nell'impegno personale, anche in politica, come una responsabilità e come una tessera del progetto per il futuro del proprio Paese.
Cambiamento. Cittadinanza. Comunità. Responsabilità. Progetto...
E qui, guardo all'Italia, a noi, e mi incavolo...
Certo, gli Usa sono il Paese delle grandi contraddizioni (per esempio, in questo giorni si sta affrontando il duro nodo della sanità pubblica, una delle cose più sconcertanti negli Usa). Ma sono anche il Paese che in pochissimi anni, a confronto con la storia umana, ha fatto e fa i progressi più rapidi, anche in campo sociale e civile. Un buon biglietto da visita.
Così, quando i tanti Obama, che tentano di prendere in mano oggi le redini negli Usa, dicono "Sì, cambiamo"... per il meglio, ho la sensazione che non è solo propaganda, non è solo abile comunicazione, non è spacconismo alla John Wayne. Loro sembrano crederci, sul serio.
E lo vivono prima di tutto nelle proprie scelte.
E noi?
05 novembre 2008
noi possiamo?

Santa mamma Luisa è intervenuta d'appoggio... Ma a quel punto ero, eravamo tragicamente svegli.
Che fare? Apro la Tv... Mi ricordo che qualcosa stava per accadere di là dall'Atlantico. Io seduto sul divano, Luisa stesa sull'altro con l'influenza che si trascina da un paio di giorni... Occhi a mezz'asta ma curiosità alta e una certa improbabile, misteriosa, attesa.
Barack Obama sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.
Come un cretino, e dimentico del mio passaporto (sono contento di essere italiano), mi sono accorto di essere emozionato. Perchè?
Negli Usa (cui sono legato da un rapporto ambivalente di critica ammirazione) possono dire "Yes, we can!". Anche la maggioranza degli sconfitti (nonstante alcuni repubblicani, modello neo con, abbiano fischiato il discorso di "concessione" di McCain, che peraltro mi sembra un bravo tipo).
Uniti sotto la stessa bandiera, dentro lo stesso - "abusato" quanto si vuole - sogno americano.
E noi? Noi possiamo, almeno, sognare?
Noi, quelli dei Cirini Pomicini e delle "lady Asl".
Quelli dei Berlusconi ma soprattutto dei berluscones.
Quelli di Mortadella e quelli di "Melassa" Walter.
Quelli di Beppe Grillo e quelli che ... ancora... "boia chi molla".
Quelli dell'amico dell'amico, quelli che "la mafia non esiste", quelli che "tanto fanno tutti così", quelli che sono "furbetti del quartierino" ma anche solo "furbetti della fila alla posta", quelli che... il calcio e "L'Isola dei famosi".
Quelli lì, questi qui, noi.... ma che sogni abbiamo?
E se ne avessimo di buoni, che leader li possono incarnare, questi sogni, convincere la gente che sono meglio dell'uovo oggi?
Veltroni come Obama? Dai! E' un tipo serio, fa il suo meglio, ma non scherziamo...
Se guardo alla realtà italiana in parallelo all'esperienza di Obama negli Usa, credo che l'unico terreno da cui potrebbe nascere un leader e un movimento di cambiamento che immagini un'Italia "capace di futuro" è solo quello martoriato, abbandonato, isolato e anche vilipeso della lotta alla mafia.
Per il nostro cambiamento, guardiamo lì.
Se mi sforzo di alzare la testa verso questo orizzonte, allora riesco a dire: sì, possiamo!
(foto flickr/jetheriot)
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