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21 luglio 2011

todo cambia?

No, non ho appena visto Habemus Papam in dvd e ho avuto un rigurgito tardivo di latina malinconia...

Sono andato in un commissariato di Polizia per ottenere dei documenti.

E ne sono uscito con una conferma empirica: in 15/20 anni, in Italia non è cambiato nulla.

Stessa fila fuori dal Commissariato, stessa prassi kafkiana, bacheche improbabili piene di fogli e/o foglietti con istruzioni talvolta contrastanti, stessi moduli, penne e timbri, stesse facce scocciate degli agenti in servizio allo sportello (uno sportello), corridoi intasati di gente che si aggira piuttosto agitata, nell'ordine, per:
  • ottenere informazioni anche elementari che sembrano coperte da segreto di Stato. O da un'assenza di organizzazione.
  • Trovare il modo più ingegnoso per avanzare nella fila (il numeratore elettronico, unica novità ambientale - a mia memoria - ovviamente non funziona), modello "chiagn' e fotte".
  • Cercare "l'amico poliziotto dell'amico che forse può andare dalla collega allo sportello e ...". Che è "made in Italy" e col passaporto c'azzecca.
  • Imprecare e maledire tutto e tutti perché ha perso una giornata di lavoro: deve tornare perché gli manca un documento, una firma, un modulo... o una rotella. O tutto il pacchetto completo.

Insomma, tutto spiccicato identico, esattamente come 15 anni fa.
Un Paese fermo al palo. A fare la muffa.

Todo cambia?

ps. per la cronaca: ho chiesto in totale 6 ore di permesso a lavoro per fare il necessario, comprese 3 ore solo per presentarmi allo sportello, fare la fila (?) e ritirare un documento già pronto.
Sono questi i veri costi della politica.

24 luglio 2009

la fortuna non esiste


Sono arrabbiato.

Sto leggendo un libro che mi piace, che racconta storie edificanti, incoraggianti... e la sensazione con cui resto, per ora, dopo quella di chi fa "una bella scoperta", è quella della delusione, dello scoramento.
Certo non è colpa del libro.

Parlo di La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi di Mario Calabresi, direttore de La Stampa, già inviato negli Stati Uniti.

Sono 10 storie fresche fresche, made in Usa, su come alcuni uomini e donne hanno affrontato (e superato) nella loro vita "la" crisi, inclusa quella economica e finanziaria scoppiata nel 2008.

Sono certo che è un libro che si presta a critiche davvero bi o tripartisan, oppure che può cadere nell'indifferenza per apparente "eccesso di utopia". Anzi, di sogno, di progetto.
Perché noi in Italia, soprattutto a guardare i nostri leader, culturali (Tv) e politici (sempre Tv), siamo quelli del: "Guarda è una bellissima idea... sarebbe bellissimo... ma... solo nel Paese dei balocchi. Ingenuo".

Calabresi racconta, di fatto, l'America recentissima che ha scelto Obama, quello che "il cambiamento"... E già questo farà venire l'orticaria a qualcuno, fissato con la real politick, o solo con 20 metri di coda di paglia. Anche perché quella raccontata da Calabresi, è anche l'America di Cao, vietnamita e neo deputato al Congresso per i repubblicani.

Tutti nel libro testimoniano il valore del cambiamento. Tutti credono nell'importanza di una cittadinanza, non solo politica, che abbia come prima regola quella di "restituire alla comunità quanto si è da essa ricevuto". Tutti vedono nell'impegno personale, anche in politica, come una responsabilità e come una tessera del progetto per il futuro del proprio Paese.

Cambiamento. Cittadinanza. Comunità. Responsabilità. Progetto...
E qui, guardo all'Italia, a noi, e mi incavolo...

Certo, gli Usa sono il Paese delle grandi contraddizioni (per esempio, in questo giorni si sta affrontando il duro nodo della sanità pubblica, una delle cose più sconcertanti negli Usa). Ma sono anche il Paese che in pochissimi anni, a confronto con la storia umana, ha fatto e fa i progressi più rapidi, anche in campo sociale e civile. Un buon biglietto da visita.

Così, quando i tanti Obama, che tentano di prendere in mano oggi le redini negli Usa, dicono "Sì, cambiamo"... per il meglio, ho la sensazione che non è solo propaganda, non è solo abile comunicazione, non è spacconismo alla John Wayne. Loro sembrano crederci, sul serio.
E lo vivono prima di tutto nelle proprie scelte.
E noi?