una parola molto "moralista" è radicalità...
I discendenti di Kunta Kinte nel celebre romanzo Radici (poi raccontato anche in Tv), che ho appena finito di rileggere, volevano sapere la storia del loro progenitore... ma noi vogliamo davvero sapere da quale radice scaturisce la nostra fede? Messi di fronte all'evidenza dell'Incarnazione, della Croce e della Resurrezione, siamo disposti a non tagliare questa scomoda ma bellissima radice? Vogliamo davvero sapere da dove veniamo?
Più volte mi capita di partecipare a discussioni, reali e virtuali, in cui improvvisamente al comparire della parola "radicalità" si manifestano reazioni di insofferenza se non di dispetto, rivolte in special modo a chi sostiene di aspirare ad una radicalità nella vita di fede.
Più volte mi capita di partecipare a discussioni, reali e virtuali, in cui improvvisamente al comparire della parola "radicalità" si manifestano reazioni di insofferenza se non di dispetto, rivolte in special modo a chi sostiene di aspirare ad una radicalità nella vita di fede.
Perchè?
C'è in giro un bisogno sommerso di radicalità, di criteri guida profondi e non opportunistici.
Come rispondiamo come credenti e come Chiesa? E cosa cerchiamo per noi stessi?
Sovente alla comunicazione della radicalità del nostro personale incontro reale con Cristo (ma c'è stato?), si preferisce proporre "la radicalizzazione" ideologica della fede, che così diventa l'ombra bellicosa di se stessa... una deriva allo stesso tempo comoda e insidiosa.
Caro Kunta: voglio sapere prima da dove vieni e non cosa pensi.
(foto di a hundred visions and revisions - Flickr)
9 commenti:
Ci sono radici e radici: radici attraverso le quali la pianta prende vita fino ai germogli, e radici che la serrano al terreno danneggiando il circostante. Scegliamo, francamente, le prime: quelle che consentono alla vite di far germogliare i suoi tralci, al granello di senapa di diventare albero che accoglie gli uccelli del cielo; non quelle che fanno inciampare il viandante o che sommuovono l'asfalto, solo per dimostrare che esistono. Quelle che prendono vita dal seme primitivo, e non dai trapianti spuri successivi.
torietoreri
caro tori, benvenuto...
hai ragione (e come spesso leggo sul tuo blog, usi delle bellissime metafore).
Che il cristianesimo non sia un'ideologia questo papa lo va ribadendo da tempo. Purtroppo in molti continunao a non ascoltarlo. Il bello è che questi ultimi si dico pure 'ratzingeriani'.
auguri, caro Mulongo
grazie della visita, psico...
e una "radicale" buon anno a te!
auguri "radicali" per un anno pieno di amore.
Lettera circolare:a tutti i blog linkati da Torietoreri.
Egregio blogger,
ho aggiornato i miei link a numero chiuso: max 25, che continuerò ad aggiornare periodicamente in base alla frequenza di interazioni con il sottoscritto.
Se vuoi pertanto continuare ad essere inserito nell'elenco (il che porta numerosi vantaggi: dall'avere il biglietto vincente la lotteria Italia alla nomination all'Oscar) devi continuare ad interagire con Torietoreri.
Distinti saluti
Torietoreri
P.S.: scherzo, naturalmente! Ciao a tutti, e buon anno ancora!
... sarò trai tuoi 25 lettori più accaniti! Grazie del link.
Carissimo moralista,
non aspiro alla pubblicazione, ma solo alla comunicazione di un mio atteggiamento che credo sia moralista.
Ho maturato negli anni un pregiudizio sul clero che potrei sintetizzare nello slogan: “se il prete ha la barba allora mi garba”.
Come tutti i pregiudizi è ovviamente profondamente ingiusto, ma non riesco più a togliermelo di dosso.
Insomma, quando vedo un prete il mio primo approccio è puramente estetico e di fronte a piccoli particolari decido se è possibile o meno una “consonanza” spirituale e pastorale. Confesso che tendo a essere molto netto e rigido.
La barba fa alzare molto il punteggio, ottimi i jeans e graditissimi i sandali (ma solo per i diocesani), maglioni colorati e camice a scacchi fanno ben sperare e ovviamente i colori alternativi al nero, al blu e al grigio sono un buon biglietto da visita.
Il rovescio della medaglia? Mi irrigidisco e mi insospettisco di fronte ai clergyman, non tollero il colletto romano e temo i colori nero, blu e grigio. Auspico il tribunale ecclesiastico per i gemelli ai polsini, le talari e i paramenti liturgici preconciliari.
Anche la parlata ha la sua importanza: pessima quella melliflua e lenta; ottima quella schietta e vigorosa.
Non si tratta di rifiuto dell’eleganza o dello stile classico: preferisco, infatti, una pettinatura con riga alla Big Jim piuttosto che una chioma fluente e non accetto decisamente le parolacce. Si tratta molto probabilmente di anticlericalismo, ma lo dico sottovoce.
Ho speranza di guarire?
Chiedo scusa se vado “fuoripost”
Marcello
... perchè fuori post?
il tuo anti-clericalismo lombrosiano mi sembra molto "radicale"... no?
ps. ti ho citato anonimamente sul blog di Accattoli...
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