21 agosto 2013

lavorare è servire

Il mio storico medico di famiglia va in pensione. E ha scritto una lettera ai suoi pazienti (da oggi pare si debba dire "persone assistite", ma vabbè).

Leggerla mi ha fatto tornare alla mente tanti ricordi. Anche quelli di tanti medici cui è capitato di doverci affidare.
foto flickr/SalFalko


Sgombrate un po' le emozioni, gli ho risposto così:

Carissimo S. ... Ti auguro ogni bene e ti ringrazio per il tuo lavoro e il tuo servizio di medico: "servizio" è una parola caduta in letargo almeno nelle grandi discussioni, sopratutto quelle che riguardano il lavoro; e Dio sa quanto invece avremmo tutti bisogno che venisse riabilitata e valorizzata.

Ho sempre apprezzato la tua capacità di curare innanzitutto nella relazione con chi hai di fronte; senza un coinvolgimento emotivo esplicito ed evidente ma con "ferma tenerezza", e con occhi interessati e orecchie che sanno ascoltare: garantiscono già almeno un 30% della possibile guarigione. Un'attitudine non di tutti
. Grazie!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il lavoro del medico (e dico lavoro a ragion veduta, perché "laicamente" lo é) si configura in maniera particolare perché riguarda una relazione fra persone, come lo é quella dell'insegnante o del politico. In piú, tale relazione deve avvalersi di contenuti scientifici (ecco perché la medicina é scienza) ma anche di un'applicazione "personalizzata" degli stessi (ecco perché é anche e soprattutto un'arte). Il tutto dev'essere comunque inquadrato in un "servizio" per il piú debole, che per il non credente puô essere puramente sociale, ma che per il cristiano può assumere le dimensioni dell'amore. Un amore non pietistico, ma virile, che suscita compartecipazione alla cura e non passivitá o auto compassione.
Torietoreri (Domenico Sinagra)

Acquacluster ha detto...

Posso sognare che quando un giorno anche io andrò in pensione come MMG, un mio "assistito" mi scriva quello che hai scritto tu?
Anzi no, siamo realisti: posso sognare di andare in pensione?!??