25 gennaio 2011

dei martiri e degli eroi

"Per me è un martire". Le parole che avrebbe pronunciato giorni fa a caldo don Alessandro Floris sul conto del suo parrocchiano Luca Sanna, il soldato sardo di Samugheo di recente ucciso in Afghanistan, mi avevano - sì - messo un tarlo.

foto:www.esercito.difesa.it
Poi si è sollevata (non di sole Ruby vivono i media) una polemica sulle parole di mons. Mattiazzo, vescovo di Padova, in merito alla controversa morte del caporale Miotto, avvenuta qualche settimana fa. Oggetto della critica del vescovo l'abuso del termine "eroe"...

Martiri, eroi... Almeno sul primo termine, tra credenti, bisognerebbe andarci cauti.
Ma la mia sensibilità vacilla su queste cose.

Si tratta di due persone giovani, morte tragicamente.
Io sono un obiettore di coscienza e - volendo - col sedere sulla sedia. Loro erano due soldati.
Mondi lontani, scelte opposte.
Ma avevano un cuore di carne e una vita da vivere, come la mia.

Allora ho chiesto ad un amico - ufficiale dell'esercito, con esperienza in queste missioni, ritrovato grazie al blog - di raccontarmi il suo vissuto:

"Il militare è un eroe del quotidiano, di cui ci si ricorda quando muore - spesso, ma non sempre - per strumentalizzarne una esistenza". 

Vi consegno la sua lettera integrale, senza commenti...

19 commenti:

don Mario Aversano ha detto...

Carissimo Simone, grazie di questa testimonianza. Condivido con te la fatica "culturale" e "morale" a prendere posizione in queste vicende. Non aggiungo altro, mi metto alla scuola della tua sobrietà. Grazie.

Marta09 ha detto...

Grazie Simone ... sono passata di qui per respirare un po' di aria fresca ed umana ... E qui l'ho trovata.

Anch'io nel pio piccolo faccio fatica nel predere delle posizioni precise in queste vicende, ma anche in altre.

Spesso mi sento come una fantasma che non si sente, non si vede, non si prende in considerazione, ma insisto su queste precise prese di posizione.

Sempre però penso all'uomo, alla sua umanità a quella sfera speciale che lo rende persona e che nessuno vede e che pure lo rende sacro.
(anche se spesso mi ritrovo con persone che di umano non hanno proprio nulla per le cose orribili che fanno ammazzando la speranza altrui senza armi)

Grazie ancora Simone.

Matteo ha detto...

Caro Simone,
ho letto la lettera del tuo amico Ufficiale,
e sono sinceramente sconvolto.

Non so dove viva questo Ufficiale e in quale mondo,
ma leggendo la lettera vedo che se ne è creato uno che non esiste,
forse ha trovato il pianeta del "piccolo principe".

E' riuscito ad assumere in se stesso
l'ipocrisia del suo mondo militare?
o
in perfetta buona fede ha una visione completamente soggettiva
del suo essere militare.

Le sue parole sembrano tipiche di un cappellano militare,
che si è convinto che deve trovare le parole per spiritualizzare tutto quello che vede
nel suo mondo militare, per trasformare tutto....

Caro Simone,
ho una grande stima di te
per le occasioni che ho di leggerti, come di ascoltarti in talune occasioni,
ti apprezzo molto.

Quello che mi pare certo,
che questo Ufficiale non viva tra militari normali,
scrive di cose che non esistono,
scrive come un "discorso del papa" quando ha in udienza i militari,
parole senza un substrato concreto.

20 anni fà, ripeto 20 anni fà,
ricordo di un cappellano militare,
che mi parlava di confini della patria elastici,
che la difesa della patria non consisteva più nella difesa dei confini,
i confini della patria si allargavano negli interessi della patria.
A quelle parole lo rifiutai come persona e come prete.

Le mie parole sono sincere,
dettatemi dal profondo del mio cuore,
ma ti assicuro anche per le mie esperienze.
Forse devo farti conoscere un pò di militari.

Unknown ha detto...

carissimo matteo... ho scelto di non commentare sul blog la lettera di Romeo.

Se vorrà, interverrà in prima persona...

"A tu per tu" con lui ho avuto modo di condividere qualche pensiero... credo che ce lo conserviamo entrambi nel cuore come una cosa da custodire.

Detto ciò posso solo dire che è l'unico militare che conosco (viste le mie "scelte") - ne avevo un altro, amico di infanzia, che poi però è tornato "civile" - e con lui anche de visu ho parlato di queste cose. E credo che abbia consapevolezza delle "incongruenze" di cui tu parli.

Ciò non toglie che ho avuto voglia di ascoltarlo in "religioso silenzio" come si dovrebbe fare di fronte a un'esperienza di vita concreta, e onestamente condivisa, sempre.

Credo di non aver fatto abbastanza spesso questo esercizio in passato. Almeno questo ho imparato da questo scambio con lui.

Questo poi non toglie né appiattisce le sensibilità di ciascuno e le altre esperienze concrete che valgono altrettanto...

Matteo ha detto...

Grazie della comprensione
e tengo in conto i tuoi consigli
non facili...

Marcello ha detto...

A mio parere "martirio" è una parola troppo forte per chi muore in operazioni militari all'estero in zone a rischio.
"Eroismo" mi sembra già più consona, ma preferirei utilizzare più semplicemente "coraggio", che è una parola che lascia aperto il campo alle legittime critiche sulle operazioni militari all'estero.
Il coraggio, quando è unito alle buone intenzioni e quando è purificato dalla "spacconeria" o da sentimenti violenti, va rispettato, anche se non se ne condivide il contesto.

Anonimo ha detto...

Grazie Marcello,
...il coraggio è una dimensione tutt'altro che implicita, e l'"eroe" di per se (in senso classico), anche quello del quotidiano, è un esempio di coraggio. Il coraggio denota la "volontà" , unita alla capacità, di fare ciò che altri non fanno, di essere dei "pionieri" di un comportamento. "Coraggio" è anche un termine generale, adattabile e decontestualizzabile. E' una delle "virtù minori" che cito, una parola quasi desueta, perché nessuno viene più valutato in base al coraggio. Eppure il coraggio rappresenta un elemento tipico del militare. In operazioni il militare dimostra il proprio coraggio nelle azioni che conduce quotidianamente per mantener fede al mandato internazionale. Il coraggio è apprezzato dalla popolazione civile e riconosciuto dagli avversari. Il coraggio delle idee, delle parole e dei fatti, anche mediante l’uso della forza, conferisce credibilità ad un contingente e rappresenta una garanzia per la stabilità di un’area di responsabilità ma anche per la sicurezza dello stesso personale impiegato. Tuttavia chi ha coraggio non può dimenticare la paura. Non si può comandare e avere responsabilità di personale o su un’area di operazioni dimenticando che la paura a volte può dare buoni consigli. È indispensabile avere la percezione del rischio che si corre. È la paura che che aiuta a percepire il rischio.
Romeo

Michele ha detto...

Mi permetto di prendere parte a questo dibattito, poiché anch'io sono amico di Romeo e sono rimasto molto colpito dalla sua testimonianza. Qui di seguito riporto quanto gli ho scritto quest'oggi:
"Caro Romeo,
ho letto con attenzione le parole che hai usato, qualche giorno fa, commentando le parole del vescovo di Padova dopo la morte del giovane militare Matteo Miotto in Afghanistan.
Alla tua riflessione mi piacerebbe aggiungere un connotato che oggi trovo più che mai cruciale. In anni passati, infatti, discutendo con amici coetanei del senso insito nella scelta tra servizio militare e servizio civile (quando ancora la leva era obbligatoria), cercavo di sostenere la seguente tesi. Prendiamo in esame il mero concetto letterale delle due espressioni, "servizio militare" e "servizio civile": è evidente che il punto cruciale è il termine "servizio", mentre i due aggettivi (militare o civile) servono solamente, proprio perché si aggiungono al sostantivo, a fornire una connotazione che non può in alcun modo prevalere sulla parola chiave.
"Servizio" è un concetto profondamente umano e cristiano di intendere la nostra vita. Penso che i giovani attualmente impegnati sui diversi scenari in giro per il mondo abbiano questa fondamentale bussola a guidare le loro azioni. Certamente, sono più consapevoli dei militari di leva del proprio ruolo, sono meglio addestrati e formati.
C'è in questa consapevolezza, a mio modesto avviso, la chiave per poter dire che - in una certa misura - la concezione di "eroismo" è persino troppo stretta e superata per poter definire i comportamenti dei nostri soldati: siamo soliti associare all'eroismo, infatti, un misto di romanticismo, sventatezza, amore del rischio (magari fine a se stesso).
Invece penso che ora siamo in presenza di persone che hanno deciso, in scienza e coscienza, di servire (mi piace ribadire questo termine) una causa, ancor più che una singola patria. Difendono e promuovono valori universali, che vanno addirittura oltre il concetto di patria: basti pensare a come sia cruciale la difesa del territorio in alcune zone (penso ora all'Afghanistan) dove altrimenti sarebbe impensabile tentare di ricostruire le basi di una convivenza civile. Mi chiedo, per inciso, quanti volontari e associazioni umanitarie non sarebbero in grado di svolgere il loro prezioso compito senza questa copertura.. o vogliamo ancora cadere nella retorica del volontario "buono" per definizione e del militare "cattivo" per definizione?
Mi sa che se non usciamo da queste vetuste categorie di pensiero, faremo molta fatica ad aiutare concretamente il prossimo.
Ecco, insomma, penso che oggi il militare sia una persona che cerca proprio di farsi carico del prossimo, in una maniera singolare e rischiosa. Praticando quelle virtù quotidiane (rispetto, senso del dovere, responsabilità) che tu ricordavi. Aggiungerei a queste il desiderio profondo di pace, che solo chi conosce il dramma del conflitto può davvero agognare.
Inoltre, proprio perché non c'è più la leva obbligatoria, oggi il militare è un esempio (se non vogliamo chiamarlo "eroe") di questo spirito di servizio: Dio solo sa quanto bisogno ci sarebbe, nella nostra società materialista, di potenti iniezioni di tale spirito (tra parentesi: riterrei molto educativo ripristinare una forma di "servizio" per tutti, ragazzi e ragazze, inteso come periodo di tempo - facciamo anche soli pochi mesi - da dedicare a vantaggio degli altri, per rendersi conto dei bisogni che ci circondano e per far crescere il senso di comunità che stiamo proprio perdendo).

Unknown ha detto...

provo a postare con il mio account un commento che è arrivato da Michele perché blogger sta facendo le bizze... non vorrei essere stato hackerato

"Mi permetto di prendere parte a questo dibattito, poiché anch'io sono amico di Romeo e sono rimasto molto colpito dalla sua testimonianza. Qui di seguito riporto quanto gli ho scritto quest'oggi:
"Caro Romeo,
ho letto con attenzione le parole che hai usato, qualche giorno fa, commentando le parole del vescovo di Padova dopo la morte del giovane militare Matteo Miotto in Afghanistan.
Alla tua riflessione mi piacerebbe aggiungere un connotato che oggi trovo più che mai cruciale. In anni passati, infatti, discutendo con amici coetanei del senso insito nella scelta tra servizio militare e servizio civile (quando ancora la leva era obbligatoria), cercavo di sostenere la seguente tesi. Prendiamo in esame il mero concetto letterale delle due espressioni, "servizio militare" e "servizio civile": è evidente che il punto cruciale è il termine "servizio", mentre i due aggettivi (militare o civile) servono solamente, proprio perché si aggiungono al sostantivo, a fornire una connotazione che non può in alcun modo prevalere sulla parola chiave.
"Servizio" è un concetto profondamente umano e cristiano di intendere la nostra vita. Penso che i giovani attualmente impegnati sui diversi scenari in giro per il mondo abbiano questa fondamentale bussola a guidare le loro azioni. Certamente, sono più consapevoli dei militari di leva del proprio ruolo, sono meglio addestrati e formati.
C'è in questa consapevolezza, a mio modesto avviso, la chiave per poter dire che - in una certa misura - la concezione di "eroismo" è persino troppo stretta e superata per poter definire i comportamenti dei nostri soldati: siamo soliti associare all'eroismo, infatti, un misto di romanticismo, sventatezza, amore del rischio (magari fine a se stesso).
Invece penso che ora siamo in presenza di persone che hanno deciso, in scienza e coscienza, di servire (mi piace ribadire questo termine) una causa, ancor più che una singola patria. Difendono e promuovono valori universali, che vanno addirittura oltre il concetto di patria: basti pensare a come sia cruciale la difesa del territorio in alcune zone (penso ora all'Afghanistan) dove altrimenti sarebbe impensabile tentare di ricostruire le basi di una convivenza civile. Mi chiedo, per inciso, quanti volontari e associazioni umanitarie non sarebbero in grado di svolgere il loro prezioso compito senza questa copertura.. o vogliamo ancora cadere nella retorica del volontario "buono" per definizione e del militare "cattivo" per definizione?
Mi sa che se non usciamo da queste vetuste categorie di pensiero, faremo molta fatica ad aiutare concretamente il prossimo.
Ecco, insomma, penso che oggi il militare sia una persona che cerca proprio di farsi carico del prossimo, in una maniera singolare e rischiosa. Praticando quelle virtù quotidiane (rispetto, senso del dovere, responsabilità) che tu ricordavi. Aggiungerei a queste il desiderio profondo di pace, che solo chi conosce il dramma del conflitto può davvero agognare.
Inoltre, proprio perché non c'è più la leva obbligatoria, oggi il militare è un esempio (se non vogliamo chiamarlo "eroe") di questo spirito di servizio: Dio solo sa quanto bisogno ci sarebbe, nella nostra società materialista, di potenti iniezioni di tale spirito (tra parentesi: riterrei molto educativo ripristinare una forma di "servizio" per tutti, ragazzi e ragazze, inteso come periodo di tempo - facciamo anche soli pochi mesi - da dedicare a vantaggio degli altri, per rendersi conto dei bisogni che ci circondano e per far crescere il senso di comunità che stiamo proprio perdendo)."

Matteo ha detto...

Vorrei condividere quanto scritto da Michele,
ma vi vedo l'imprecisione di espressione tra
quello che "è realmente" la persona militare concreta,
e quello che "potrebbe essere".

Michele riferisce nelle note di quello che potrebbe essere il militare nella sua concretezza,
non di certo per quello che è realmente

Anonimo ha detto...

@Matteo: Ritengo difficile poter giudicare con gli occhi di chi non ha vissuto certe esperienze. Bisognerebbe avere gli strumenti per poter interpretare le immagini di un vissuto che non si ha ed essere pronti ad un confronto costruttivo. Di barriere ce ne sono già troppe.
Barbara

Anonimo ha detto...

Caro Michele,
grazie per la bella riflessione.
Ci sono due punti che evidenzierei:
- hai parlato di coscienza: noi abbiamo SEMPRE la coscienza “in prima linea”, qualsiasi cosa facciamo la nostra coscienza è “il nostro primo superiore” (questa è una delle prime frasi che mi fu detta quando entrai nell’Esercito).
- citavi anche il rispetto. E’ la giusta considerazione delle capacità, delle conoscenze, della stessa vita degli altri. Rispettare è porsi alla giusta distanza, collocarsi in un ambito di relazione tale che lo scambio possa essere utile quanto meno ad entrambi gli interlocutori. Il militare dovrebbe tenere sempre presente questa idea dalla fase di pianificazione a quella di condotta. In molte culture la mancanza di rispetto è considerato ancora un affronto e costituisce un possibile confine negativo tra contingenti di pace e etnie popolazione locale. Per costruire insieme bisogna abolire il confine della mancanza di rispetto, questo costituisce una precondizione del dialogo e della condivisione di obiettivi.
Grazie per questi spunti ulteriori.
Romeo

Matteo ha detto...

@ Anonimo Barbara - 26/1/11 19:36
Mi farebbe piacere poter dimostrare il mio piccolissimo bagaglio di esperienze... ma dubito che questo mi renda più credibile.

Confermo comunque l'analisi che ho sopra fatto su quello che ritengo la realtà militare.
Forse esiste pure la mosca bianca.

L'ultima di cui ho notizia recente è un generale (neocatecumenale) che ha fatto dichiarare dati [censura] pur di avere possibilità in più per la sua promozione.
(Ma le particolarità le rivelerei solo a Romeo, magari mi aiuta a capire.) (Romeo non sono così cattivo!)
_____________________
Carissimo Simone,
credo che sicuramente troverai nella tua sensibilità l'intervista che oggi P. Antonio Mattiazzo rilascia.
Vale proprio la pena leggerla tutta
e lasciarsi interrogare,
perchè questo vescovo più che rispondere continua ad interrogare, a domandare, senza avere risposte!!!!!
Matteo

Matteo ha detto...

scusate avevo dimenticato....

L'intervista di p. Antonio Mattiazzo
su:
La Difesa del Popolo:
http://www.diocesipadova.it/pls/s2ewdiocesipadova/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=3790

Anonimo ha detto...

Caro Matteo,
Dopo aver letto il tuo primo commento, mi sono andato a rileggere la mia lattera per vedere cosa avevo scritto di così sconvolgente. Un dubbio ragionevole viste le tue parole. Devo dire che non sono una mosca bianca nella mia organizzazione, ma mi piace molto “Il piccolo Principe” ed in effetti mi occupo di “Trasformazione” (ma non nel senso che intendi tu). Ti posso dire anche che hai molte più certezze di me, sulla mia professione. E' indubbio che in tutti gli ambienti possano esistere esempi negativi, ma non per questo è necessario generalizzare. Si rischia di essere solo offensivi, e non è questo il piano su cui Simone intendeva portare la discussione. Tanti sono ostili alla concezione stessa di “militare”, a volte per esperienza, a volte per una posizione, una religione, per partito preso o pregiudizi o ancora per idee politiche. Io ti dico che svolgo una professione che, per me, gratificante umanamente e professionalmente, ma ti ripeto è solo il mio punto di vista e sono solo 20 anni che faccio questo mestiere, domani potrei cambiare idea.
Su alcune tue affermazioni però mi sono soffermato a riflettere un po' di più. Vedi, nell'Esercito di oggi non si fa tanto carriera come una volta, la piramide è molto più stretta in cima ed arrivare al grado di Tenente Colonnello è già un traguardo. Cresce però una idea di “carriera orizzontale”, le persone sono chiamate a fronteggiare problemi seri, hanno un nome, una reputazione prima di avere un grado. Una volta un Comandante in missione mi disse “vedi se un direttore di banca o un imprenditore sbaglia ci possono essere ripercussioni economiche, qualcuno potrebbe perdere tanti soldi, una casa, un lavoro...se noi sbagliamo la gente muore” me lo disse guardandomi negli occhi. “La gente”, i nostri soldati, i civili. Io ti chiedo di fermarti un attimo a riflettere in futuro prima di dare dei giudizi. La gente muore... e non lo fa per una stelletta in più o una medaglia. La gente muore perchè crede in quello che fa ed in quel momento la sua volontà si scontra con una realtà più forte di lui.
I militari oggi sono professionisti preparati e motivati. Impiegati in Afghanistan per dare un futuro a un paese così come in Campania per garantire dignità ad un altro paese, il nostro. Non dovresti denigrare così chi dimostra una così grande elasticità nel “servire” la Patria. Dovresti essere anche tu un tantino più elastico e capire che la tua esperienza di 20 anni fa o il tuo Generale non racchiudono in sé tutto il mondo militare...
Le Forze Armate possono contare su alcune tra le migliori risorse nazionali del cambiamento. Bisogna solo saper guardare le cose con occhi “liberati” da schemi e pregiudizi. Quando si vede la realtà senza schemi ci si lascia trascinare dalle cose, assorbendo gli eventi e quella vitalità che le cose stesse ci possono dare. L'Esercito è una Istituzione dove molti pensano che ci sia sempre una parte principale (il Generale, il Colonnello...), ma in realtà di parti principali ce ne sono tante e questa capacità di lettura ci consente di soffermarci maggiormente su alcune che potevano sembrare marginali. Il Soldato. I nostri (anche tuoi) soldati sono ragazzi coraggiosi, e, aggiungendo un elemento ad un tema già affrontato, aiuta ad avere coraggio anche l'idea precisa della provvisorietà delle carriere e delle fortune.
Mi auguro di aver instillato in te almeno un minimo ma ragionevole dubbio che nell'Esercito esistano anche delle mosche... nere.
Romeo

Matteo ha detto...

Sappi che apprezzo tantissimo le tue parole,
ma trovo che stridono con la realtà.

Mi rendo conto che le mie parole sono suonate offensive nei tuoi confronti,
ma proprio perchè non le ho trovate rispondenti
in nessun modo con il vostro mondo.

D'altronde
non si capisce il perchè tra "settembre" e "ottobre" c'è la grande corsa agli elogi e agli encomi,
in visione di cosa?

Persone che a tavolino programmano la propria richiesta di invio in missione.....
mentre sul pc stanno girando i siti di vendita case... o per l'auto....

Quel tale che a Palazzo Muscoloni mi diceva che si era messo in partenza per l'Afganistan ma per il momento fa troppo caldo e sta cercando di rinviare a migliore stagione...

Perdonami Romeo io mi baso su fatti concretissimi,
senza dubbio nei tuoi confronti non sono stato corretto perchè ho generalizzato,
ma date le mie conoscenze, e non conoscendoti personalmente, ho avuto l'impressione di non credibilità.

Gli stessi discorsi tuoi,
mi ricordo che li faceva un cappellano,
quando diceva che prima di essere prete era un militare.....

Se tu riesci a convertire il tuo ambiente di lavoro, dove sono in molti a fare bei discorsi,
e sono anche gli stessi che hanno comportamenti molto diversi dai loro discorsi.

Ma per lo meno, grazie a don Giuseppe
ora il mondo militare ha anche un seminario
gestito a spese di tutti cittadini italiani,
mentre
in tutta Italia i seminari teologici
sono gestiti con i proventi delle singole diocesi.

Troppe contraddizioni caro Romeo.

Ti ringrazio per le tue parole pacate ed equilibrate
hai una virtù che io non ho.
ciao
Matteo

Anonimo ha detto...

Guarda, sicuramente le cose che dici avranno dei riscontri reali, magari nei meandri "di palazzo", ma non è la regola. Sono realtà marginali.
Spesso quando non si sta per troppo tempo a contatto con le persone, ma si vive tra le carte, si pensa che la carta sia più importante. Ma ti assicuro che la mia, le nostre generazioni di Ufficiali e quelle più giovani che hanno vissuto i carichi delle missioni all'estero, hanno una sensibilità diversa, e riescono a vedere le persone anche dietro la carta che parla di loro. Io sono stato anche fortunato forse, perchè molti miei comandanti (adesso Generali) sono stati in grado di farmi apprezzare la differenza. Queste persone hanno la mia stima incondizionatamente, anche quando smetteranno la divisa, come uomini. E' questo che ritengo importante: quando si va via bisogna lasciare un ricordo "limpido" di sè. Ci si deve provare non trovi? E' un discorso di etica...è tutto.
Spero che ne potremo parlare più a lungo con Simone, Marcello, Barbara e Michele davanti ad una birra. Me lo auguro davvero. Grazie per il segnale d'apertura.
Romeo

Matteo ha detto...

Grazie Romeo.
Per una birra non è male.
Matteo

Unknown ha detto...

cari tutti... non sono intervenuto, sia per dare seguito all'intenzione originale (proporre senza commentare, vista la "forza umana" della testimonianza di Romeo) sia per latitanza dal web...

non voglio fare la chiosa, ma credo sia giusto che "il padrone di casa" non si nasconda e dica la sua.

Con Romeo ci siamo già scambiati una bella corrispondenza e per me resta quella la nostra ultima parola.

Alcune note per punti.

1) rileggendo l'intervista segnalatami da Matteo, non posso nascondere che mi sembra di ritrovarmi quasi totalmente nella sensibilità qui manifestata da mons. Mattiazzo. Ciò non toglie che quelle sue parole, così riportate (e so come funzionano agenzie di stampe e titoli sul web) possano essere suonate come una dolorossisima mazzata per chi ha amato Matteo Miotto.

2) il dibattito si è ampliato molto... mi è piaciuto il riferimento di "michele" alla perdita di senso e valore della parola "servizio"... a me viene in mente anche "servizio pubblico" e mi chiedo se chi lo svolge si rende conto di cosa significhi e di cosa - in un "paese normale" - dovrebbe significare servire i cittadini... su questo consiglio la lettura di "Servire lo Stato" di Alessandro Messina.

3) io come accennavo quando scrissi il post, temo le retoriche, tutte... le retoriche sanno mistificare la verità dell'uomo... e qualche volta uccidono prima e dopo la morte "vera". Inclusa la retorica della guerra, che riconoscerete è molto più forte, consolidata e sostenuta...

4) da questo dibattito ho imparato una cosa. Che si può ("è valido" mi verrebbe da dire un po' ironicamente) essere "cristiani", cioè vivere una certa realtà "da Cristo", in qualsiasi luogo e contesto... a prescindere da come ci si sia arrivati.

Questo probabilmente è il vero "eroismo" a cui siamo chiamati. E questo tipo di eroismo, e solo questo, in genere senza che lo si voglia, a volte porta al vero martirio cristiano.

In questo senso, ho pensato anche alla fondamentale distinzione tra peccato e peccatore che Giovanni XXIII ha così ben ricordato nella sua "Pacem in Terris". Il peccato è tale e non si può "contestualizzare" (per usare un termine "molto cattolico" di questo periodo...); il peccatore è sempre e comunque un figlio/a di fronte alla eterna misericordia di Dio.
Ma può compiere ancora un gesto che "lo redime". Anche dentro una struttura di peccato, anche dopo aver fatto di tutto, anche fino all'ultimo momento.

Gesù è sceso fino agli Inferi per "regalarci" la vittoria sulla morte. Ciò non toglie che gli Inferi restino una brutta cosa... da vivere e da far vivere.

Spero che si capisca cosa voglio dire. Se no, faccio un esempio più esplicito riferito al tema "guerra/soldati".

Questa, sia chiaro, resta esclusivamente la mia personale sensibilità. Non pretendo sia Magistero, ovviamente...