09 dicembre 2005

Fede e Politica
(predicozzi)


Un versetto del Vangelo, in particolare, da sempre mi sollecita. E dà una luce di comprensione sul difficile rapporto tra fede e politica: siate “semplici come colombe, astuti come serpenti”… Aldilà di alcune diverse traduzioni (che a seconda dei casi fanno cambiare impercettibilmente il senso dell'invito), credo che ci sia troppo margine di ambiguità nell’interpretazione che a volte pare trapelare dalle parole e dalle scelte di alcuni cristiani sull’atteggiamento dell’astuzia.

Essere astuti come serpenti significa non confondere la semplicità delle colombe con una cieca ingenuità; significa insomma, come si suole dire, imparare a conoscere “come va il mondo” proprio per non ingannarsi sulle cose che ci circondano. Ma non mi pare un invito a "fare" come fa il mondo, magari cautelandosi con qualche contrappeso retorico e teologico perfetto che tiene a posto la coscienza. Lo trovo uno dei controsensi di un cammino ancora lungo della Chiesa, avviato in tanti ambiti diversi, che è quello della cosiddetta “inculturazione”.

Un esempio preso dall’esperienza del cosiddetto “apostolato di strada”. Imparare, spesso con la paura, l'angoscia e l'orrore, le leggi della strada per poter stare pienamente ma responsabilmente vicino ai fratelli e alle sorelle che della strada hanno fatto il loro unico mondo, è astuzia; cedere alla pur forte e difficile tentazione di “usare” nei propri comportamenti quelle leggi per sopravvivere o, addirittura, nella convinzione di poter così raggiungere “più risultati”, è una deriva pericolosa dall’amore di Dio Misericordia per sé e per i fratelli…

Il confine tra i due atteggiamenti è sottile. Vorrei poter non giudicare la scelta di chi non riesce a cavalcare questa soglia ideale tra Giustizia di Dio e giustizia dell’uomo. Giudicherei me stesso. Di fronte alla paura della morte e della sofferenza, della violenza e dell’arroganza degli uomini, Cristo stesso ha vacillato.

Ma la scelta di Cristo, in vista di quella Resurrezione che spesso disconosciamo come motivo di speranza in ogni scelta delle nostre vite, è stata la Croce.

Non
mi sento di biasimare la tentazione di chi, anche nella Chiesa, ad un certo punto sceglie e pensa di poter usare la furbizia del mondo. Spesso con la convinzione di farlo a fin di bene. Mi rattrista piuttosto che si tenda ad edulcorare il fatto che l’unica verità di ogni scelta profonda e non compromessa di un cristiano nel mondo, la sola prospettiva, terribile e mirabile allo stesso tempo per chi ne può cogliere tutti gli aspetti, è la Croce.

Credo anche che si debba affermare con forza. Rifiutando l’imbarazzo (molto "cattolico") di chi si affretta a giustificare questa verità tacciandola di pessimismo cosmico o di “spiritualità della morte” quasi iettatoria.

Chi ha potuto percepire che il peso della Croce non sta sulle nostre spalle ma è già stato sopportato da chi ci ama immensamente, non vive questa verità come una tagliola sulla sua vita ma, certo con trepidazione, come una porta di libertà e di gioia profonda.

1 commento:

Anonimo ha detto...

... quando si dicono certe cose, bisogna fare nomi e cognomi