29 febbraio 2012

i piccoli miracoli del dottor K.


Lei gli si avvicina molto sofferente. Lo si legge in volto.
Le metastasi alla schiena cominciano a farsi sentire.
Il tavolo della Tac è duro e alzarsi e rimettersi in piedi è una tortura che infliggersi da sé non migliora la situazione. 

Lui è un 40 enne alto, zazzera e barbetta incolta un po' da studente on the road; maglioncino, jeans e camicia sotto al camice inusualmente aperto e svolazzante. Accento chiaramente dell’est europa ma ottimo italiano.
Lo chiamiamo dottor K.: sul cartellino un nome che sa di Boemia.

Il dottor K. si avvicina alla donna.
Le chiede: "Come si sente oggi?". Una voce gentile.

Qui sono tutti piuttosto disponibili - sarà il reparto - ma lui fa qualcosa di nuovo ai miei occhi, un piccolo miracolo: la guarda con una tenerezza paterna, con lo sguardo di chi sa, e le carezza con un breve tocco leggero il viso. Niente più.

La donna abbassa il capo, si rilassa un po', e continua il suo calvario con un volto amico in più. Lo sconosciuto dottor K.

2 commenti:

torietoreri ha detto...

Da medico, comprendo benissimo quanto racconti. Un tocco di leggerezza, un sorriso, un'entrata in sala di degenza non sussiegosa ma aperta compiono il "grande" (e non piccolo) miracolo di rendere i pazienti più sereni, ed anche (e qui è l'aspetto scientifico della cosa) più disponibili ad essere curati. Grazie per questo "ritaglio" di vita in ospedale, che io vivo ogni giorno, e che apre uno squarcio tra le rivendicazioni reciproche e fra le accuse spesso giustificate fra il paziente ed il personale sanitario. L'alleanza terapeutica comincia da qui.

Unknown ha detto...

il tuo commento mi fa particolarmente piacere su questo tema. Ciao