06 giugno 2005

Scusate tanto, ma non mi astengo
(predicozzi)

Premessa

Il 12 giugno si terranno 4 referendum abrogativi intorno alla Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, una legge a suo modo “storica”, frutto a detta dei più incompiuto (se non peggio) di un iter parlamentare durato più di 6 anni e soggetto a diversi marosi politici.

Non mi dilungo sui contenuti della legge e sugli articoli che i 4 referendum parziali, se accolti, andrebbero a intaccare. Mi sto rivolgendo a persone che dovrebbero essere informate, anche più di me, sui termini della questione. En passant mi domando se, a questo punto, non sarebbe stato “meglio” (poi farò capire cosa intendo per “meglio”) che venisse approvato il referendum che chiedeva l’abrogazione totale della legge, vista la dichiarata scontentezza, abbastanza trasversale tra i vari fronti in campo, sul suo dettato: niente più legge, spazio per una nuova legge… sempre che il Parlamento ne sia capace.

Semplifico e riassumo le posizioni.
C’è un fronte del SI quello che ha promosso e/o poi sostenuto l’opportunità di abrogare parti della legge e che perciò punta ad arrivare al quorum necessario perché i referendum siano validi. È uno schieramento in realtà abbastanza trasversale alle forze politiche così come espresse in parlamento, ma in prevalenza progressista e, apparentemente, “di sinistra”. In sostanza chi voterà “si” ammette la possibilità di usare e “produrre” embrioni umani per la ricerca genetica a scopo terapeutico ed è favorevole ad una estensione “illimitata” delle tecniche di procreazione medicalmente assistita che soddisfi il “legittimo” desiderio di avere dei figli, anche (tra le altre cose) mediante utilizzo di spermatozoi o ovuli esterni ai futuri o al futuro genitore (la cosiddetta fecondazione eterologa).
C’è poi un fronte che chiede l’ASTENSIONE, animato dall’esplicito outing del presidente della Cei, card. Camillo Ruini, e sostenuto da un comitato misto di scienziati, politici, esponenti del mondo delle associazioni e della società civile in senso lato, il Comitato “Scienza&Vita”. Pur contrastando le idee che animano il fronte del “si” in nome di una difesa tout court della sacralità della vita sin dal suo formarsi embrionale, sostengono che non si può affidare allo strumento referendario, che “semplifica” tutto con un “no” ed un “si”, questioni etiche e filosofiche complesse e profonde per l’esistenza individuale e sociale di tutti gli uomini. Se vincesse l’astensione la legge 40, pur imperfetta, resterebbe in vita a frenare il “far west” sulla ricerca scientifica, e sarebbe passibile di modifiche eventuali tramite dibattito in parlamento.
C’è poi un fronte che, di fatto, non esiste: quello del NO. O meglio, esiste solo nelle dichiarazioni di alcuni, sparsi, esponenti politici (sostenuti in particolare da Il Foglio) che non sembrano però fare fronte comune, perché motivati da ragioni e presupposti diversi. La posizione di base è quella di esprimere manifestamente attraverso il referendum la propria “fede” nel valore della difesa della vita dal concepimento alla morte, cioè un panorama valoriale sovrapposto a quello che sembra animare anche chi si asterrà. Un fronte questo sconfessato e espressamente osteggiato, se non vituperato, proprio dai sostenitori dell’astensione, dal momento che, in sintesi, «votare “no”, significa far vincere i “si”».

E quindi?

Personalmente mi sono sentito abbastanza smarrito nella diatriba che, improvvisamente, è esplosa, alla conferma della validità dei 4 referendum, soprattutto tra il fronte del SI e gli astensionisti. Una disputa tra posizioni, termini e considerazioni di alto o molto meno alto livello, di qua e di là, a metà tra una fiera (senz’altro) e trasparente (meno) battaglia culturale-etica (e, però, tardiva in modo sospetto da parte di chi ora, a dado tratto, lotta per l’astensione) e il più greve politichese.
Smarrito quindi non perché non abbia, immeritatamente, gli strumenti culturali per comprendere, sebbene appunto mi chieda a quanti, cattolici e non, responsabili e non, questo genere di dibattito risulti accessibile, comprensibile e utile per farsi un'idea; ma perché il dibattito è divenuto una rutilante assemblea dove ciascuno si parla sopra, dove la semplicità dei messaggi fondamentali (che non è sempre e solo semplificazione) si perde nel rumore di fondo delle abili o meno abili dissertazioni politiche e culturali. Dove, banalmente, subito la logica di schieramento ha coperto la possibilità creativa insita in un dibattito vero, tra gente disposta ad ascoltarsi.
Qui le responsabilità sono varie. Ma io mi soffermo quelle che mi premono di più e mi mettono più a disagio.
Non sono un ingenuo. Capisco la logica e il senso di chi chiede di astenersi. Ma ho già sperimentato che "il meglio" (anche l'umana perfezione dottrinale, la documentata e logica abilità retorica delle argomentazioni) è nemico del "Bene"... la mia sensazione, a pelle e a cuore, è che questa vicenda ne sia un caso esemplare. Mi riferisco, evidentemente, a chi, Cei in primis, ha promosso l’astensione (e non a chi la sceglie legittimamente).

Dissento, insomma, sul “metodo Ruini” per tre motivi di base:

sulla modalità della presentazione della proposta: il presidente della Cei che pubblicamente e, tutto sommato, improvvisamente dichiara la sua “intenzione di non voto” usando i mezzi e il linguaggio di questa “politica spoliticata” (ma ci arrivo dopo), mette de factu alle corde la libertà di coscienza (che pure rimane, ovviamente) soprattutto dei soggetti cattolici più esposti istituzionalmente e pubblicamente, vedi le associazioni. Ma ne è valsa la pena, guardando alla vita della Chiesa tutta, fatta di battezzati non necessariamente “iscritti” o “schierati”? Perché non proporre una riflessione pubblica o semi pubblica (perché pare che, in qualche modo, tra le righe, intra moenia, ci sia stata) e giungere poi ad una dichiarazione di intenti, anzi, meglio ad una vera indicazione pastorale solo sui contenuti e sui temi in gioco e non sui dettagli del meccanismo politico (il quorum, il non voto attivo etc)? Perché non fare una più serena campagna informativa, anche nelle parrocchie che l’avessero ritenuto opportuno, che prescindesse dall’urgenza improvvisa di contrastare il referendum “cattivo”?

sulla natura e sul “linguaggio” della proposta: spiega meglio anche il punto 1. Ho la sensazione che i vertici della Chiesa italiana, con l’intenzione di non restare fuori dalla vita civile, abbiamo troppo decisamente abbracciato (e, tra l’altro, con pochi risultati) linguaggi, metodi e criteri “politichesi”, dico io, in una logica di “baratto”. Non contesto affatto la “politicità” e l’opportunità di una presa di posizione della Chiesa o di un cristiano, anzi; contesto la convinzione che per “essere nel mondo” bisogna ragionare e operare “come fa il mondo”, anzi, sforzandosi di essere “perfetti” da questo punto di vista, quando non addirittura “vincenti” (!).
Mi chiedo (veramente me lo chiedo) dove e come la Dottrina sociale della Chiesa (che è pur sempre, e santamente, una “diluizione” del Magistero della Chiesa, che è a sua volta la summa delle rivisitazioni ispirate che “diluiscono” il senso delle Scritture etc etc) proponga questo stile. E se è questo che, DSC o no, la mia adesione a Cristo mi chiede nella vita civile.
Ed è proprio perché i “machiavellismi” hanno poco a che vedere con la vita di una Chiesa che vive e respira dentro una comunità civile (e non più “società cristiana”, perché non c'è un contratto con l'umanità su questo), che ora ci sono cristiani che vogliono mandare un segnale attraverso l'unico canale di comunicazione e di espressione (voto o non voto) che i nostri vescovi hanno di fatto ritenuto importante, utile per far partecipare i battezzati alla vita politica; invece di passare per un percorso lungo e sofferto (e forse "politicamente" perdente") di riflessione, di verifica etc. E non sto parlando di "democrazia" ecclesiale, ma di discernimento comunitario.
A ciò si aggiunga che il linguaggio usato è spesso, come in questo caso, un linguaggio dalla sofisticata elevazione culturale, in cui la razionalità e la perfezione dottrinaria rischiano di sopraffare e imbrigliare la forza dello Spirito, che è Cristo stesso che cerca di illuminare le nostre scelte. Vedo, anche in questa occasione, un rischio di una nuova-antica deriva ideologica-intellettuale dell’essere cristiani (anzi, cattolici) nella società a scapito di una presenza “carismatica” ed esistenziale della fede, di una Fede che converte i cuori (prima i propri), e quindi diviene “luce per illuminare le genti”, prima ancora di pensare di cambiare le menti (degli altri). Un’ansia di presenza “culturale” che può perdersi per strada qualche pezzo importante…
"Non sono i dotti a determinare ciò che è vero della fede battesimale, bensì è la fede battesimale che determina ciò che c'è di valido nelle interpretazioni dei dotti"… Lo diceva l’allora cardinale Ratzinger nel 1979, come mi ha suggerito un amico “astensionista”… ma cosa avrà voluto dire, secondo voi?

sulla campagna comunicativa successiva alla proposta: indubbiamente sollecitato da una forte campagna per il SI su stampa e Tv (con poco spazio per tutti, in realtà), spesso di basso livello e ricca di irritante banalità, il fronte dell’astensione ha contrattaccato. Soprattutto sulle pagine di Avvenire e con le iniziative pubbliche di Scienza&Vita, arrivando ad usare espressioni e toni, contro chi andrà a votare (in particolare quelli che pensano di votare “no” - !?), veramente spiazzanti e umilianti: in testa il ritornello, inaugurato da Buttiglione, ma poi condiviso da molti, sui "cattolici che votano, anche per coerenza, ingenui o stupidi"... un’altra personalità ha affermato che “un cattolico pieno ascolta e rispetta i vescovi, altrimenti è un cattolico punto e basta”...[1].
Per sintetizzare, mi pare che mentre vada molto forte, anche se secondo me male interpretata, “la furbizia dei serpenti”, sia sfuggita a tanti bravi cattolici la “mitezza delle colombe”.
Mi pare comunque che la grande battaglia per l'astensione, così come è stata attuata, compresa l'adunata semi-coatta e organizzata delle “grandi associazioni cattoliche”, ha favorito proprio il risultato che nelle dichiarazioni si voleva evitare: far scadere tutto ad un livello di banalizzazione e di strumentalizzazione tale da distruggere l'intento astensionistico. Pur avendo applicato l’arma della sottigliezza istituzionale, del perfetto cavillo, di quella malinterpretata – e nei fatti smentita – "furbizia dei serpenti". Non sotterfugi, ma eccezionali sofisticazioni...
“Il meglio è nemico del Bene”: questo non me lo toglie dal cuore nessuno… e per giustificarsi non si può fare riferimento, come cristiani, alle insidie abilmente preparate dagli esponenti della cultura “laicista” (testimonial “di spicco” inclusi).


…vado a votare

Credo quindi che la questione sia drammaticamente “semplice” e altrimenti incomprensibile al “cattolico”, e non, “della strada”:

· noi/tu credi/crediamo che la vita vada difesa sempre, che non si possa giocare a Meccano con gli embrioni, che non esiste “un diritto ad essere genitori” - che magari poi si possa espletare sul “mercato” - che un uomo è un uomo da subito, fosse solo perché frutto di un amore a tre, che fa condividere con Dio l’esperienza della creazione? Bene, allora io battezzato mi sento di dire al mondo, senza pretendere di vincere l'avversario con le sue logiche e suoi strumenti, "no" ai quesiti 1, 2 e 3.

- noi/tu credi/crediamo che sia un vero disastro pensare di avere un figlio in qualsiasi modo, senza rendersi conto di quali infelicità questo può generare, in lui/lei, nei genitori veri e putativi, etc etc? Allora, caro mondo che vuoi interpellarmi con lo strumento fallace del referendum (ma questo c'è, insieme al resto del “pacchetto” egualmente fallace che invece accettiamo), ti dico "no", non sono d'accordo, commetti uno sbaglio (quesito 4). Anche se “laicamente” questo è il quesito che mi vede meno “fondamentalista”, mettendomi nei panni di chi decide su una legge per tutti.

Vinceranno i SI? Amen... mi dispiace, non mi sentirò responsabile delle sorti dell’umanità. Mi sentirò responsabile di aver comunicato ciò che penso con lo strumento che lo stesso apparato che ha avallato – in un modo che "non" sappiamo altrettanto bene e che però andava bene ai più – quella la stessa legge 40 oggi mi consente...

Quanti altri silenzi "intelligentemente rumorosi" mi dovrei sorbire o sostenere perché "sono romanamente cattolico"? Su quante cose inquietanti e importanti ci dovremmo/dovremo astenere, "perché gli strumenti sono fallaci"? Rischiamo, se ben si pensa, di avallare, pur involontariamente, una anti-cultura della non partecipazione civile, quando non della “cristiana furbata”.

Queste mie considerazioni sono in realtà la versione assertiva di tante domande che mi sono posto e che mi interrogano ancora. Non ho la certezza che la mia riflessione sia cristallina e non nascondo il disagio di sentirmi (a quanto pare) “disobbediente”.
Rispetto la posizione sincera di chi si asterrà, come rispetto i dubbi di quelli che si sono beccati la propaganda del “si”... anche per questo penso che andrò a votare.

P.s. il fronte astensionistico dice che solo con l’astensione sarà poi possibile migliorare la legge 40. Alla luce dell’attuale panorama politico e parlamentare, lo stesso che ha prodotto la legge, non è così semplice e comunque sarebbe possibile migliorarla anche se vincessero i no (mi pare)

[1] Io sono certo di ascoltare e rispettare i vescovi; ma ciò non toglie che mi è lasciata la libertà di scegliere diversamente. E soprattutto che l'obbedienza al vescovo riguarda le scelte pastorali e la mia vita nella comunità cristiana, cosa che mi trova "obbediente" come mi hanno insegnato tanti bravi preti e battezzati, ma non l’indicazione di andare o no a votare, oltretutto per affermare, eventualmente, il valore di fondo che si vorrebbe difendere... sono contento di poter essere un cattolico "punto e basta". Lascio ai "cattolici pieni" il privilegio di custodire la loro, personale, verità assoluta.

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